Nel modello cosmologico standard, l’universo è descritto dalla teoria della relatività generale di Einstein.
Questo modello descrive quasi tutte le osservazioni solo ammettendo l’esistenza dell’energia oscura. Ma la necessità di includere questa componente problematica potrebbe indicare un difetto della relatività generale. Sono stati proposti modelli alternativi, i modelli di gravità modificata, da testare sperimentalmente, in cui si esclude l’energia oscura.
Tratto da: Le Scienze, Aprile 2011 n.512
Teoria della relatività, ultima e più grande frana della logica scientifica.
Ormai la teoria della relatività dopo un secolo non regge più.
Secondo il modello cosmologico attuale,il nostro universo è descritto dalle leggi di Einstein,è in uno stato di espansione accelerata ed è permeato dall'energia oscura,una componente energetica che sembrerebbe dominare su tutte le altre conosciute,e con la quale bisogna fare i conti.
Fino ad oggi tutto ciò che abbiamo osservato è stato spiegato dal modello teorico di Einstein in modo eccellente.
Il punto essenziale è che,nonostante il perfetto accordo tra i dati osservati e la teoria,la fisica stessa alla base della teoria risulta difettosa.E' quindi probabile(ormai oserei dire certo)che il modello attuale non sia quello giusto,ma sia solo un'approssimazione di quello reale.
Ora attraverso alcune constatazioni abbastanza complicate si può capire che la teoria della relatività non sta in piedi.
Parto dalla falsità dei due principi fondativi.
Costanza della velocità della luce (relatività ristretta, 1905).
Il principio è nato surrettiziamente dalla incomprensione del fenomeno delle "frange di interferenza" nell'esperimento Michelson-Morley (1881). Questo perche’, mentre la fisica corrente crede che le "frange" abbiano un comportamento motorio come il “raggio” corpuscolare di luce che va e viene, esse costituiscono in realtà una “struttura” magnetica solidale col sistema generante: l'apparecchiatura famosa di lastre e specchi a croce.
Si pensi, per analogia, a un arcobaleno rispetto alla superficie terrestre: chi si sognerebbe di teorizzare misure di locomozione su quella "frangia" naturale, configurata dal magnetismo terrestre ?
Bisogna premettere che ancora oggi l'ottica geometrica del fenomeno è completamente sconosciuta.
La realtà è che tali frange non rappresentano l'andirivieni ondulatorio dei fotoni-corpuscoli della luce, come crede la fisica accademica, immaginando che un loro presunto spostamento possa avere un qualsiasi significato in rapporto al problema che ci si proponeva (esistenza dell'etere).
Esse, invece, studiate correttamente - come fa la fisica unigravitazionale - dimostrano di essere onde stazionarie, solidali con l'apparecchiatura che le produce, e quindi inamovibili da quella: sono, cioè, del tutto indipendenti dal movimento della Terra in qualsiasi direzione dello spazio siderale (a somiglianza dell' arcobaleno appunto, solidale con la rotazione terrestre).
È del resto addirittura comico il fatto che, quando si misura la velocità della luce nell'unico modo corretto di farlo, ovvero con uno strumento ottico diretto (cannocchiale, telescopio, apparecchi simili) e quindi nella forma corpuscolare dei raggi luminosi (come nelle misurazioni di Fizeau), si riscontra inequivocabilmente la composizione della velocità della luce d'una stella con quella dell'osservatore terrestre, tale da costringere a calcolare l'angolo di spostamento (aberrazione) dello strumento tra la posizione reale della stella e quella visuale. Scientemente spudorato è, a questo punto, il tentativo di adottare dei "correttivi" relativistici per raddrizzare sul fenomeno vero le gambe storte della relatività.
Costanza della velocità della luce (relatività ristretta, 1905).
Il principio è nato surrettiziamente dalla incomprensione del fenomeno delle "frange di interferenza" nell'esperimento Michelson-Morley (1881). Questo perche’, mentre la fisica corrente crede che le "frange" abbiano un comportamento motorio come il “raggio” corpuscolare di luce che va e viene, esse costituiscono in realtà una “struttura” magnetica solidale col sistema generante: l'apparecchiatura famosa di lastre e specchi a croce.
Si pensi, per analogia, a un arcobaleno rispetto alla superficie terrestre: chi si sognerebbe di teorizzare misure di locomozione su quella "frangia" naturale, configurata dal magnetismo terrestre ?
Bisogna premettere che ancora oggi l'ottica geometrica del fenomeno è completamente sconosciuta.
La realtà è che tali frange non rappresentano l'andirivieni ondulatorio dei fotoni-corpuscoli della luce, come crede la fisica accademica, immaginando che un loro presunto spostamento possa avere un qualsiasi significato in rapporto al problema che ci si proponeva (esistenza dell'etere).
Esse, invece, studiate correttamente - come fa la fisica unigravitazionale - dimostrano di essere onde stazionarie, solidali con l'apparecchiatura che le produce, e quindi inamovibili da quella: sono, cioè, del tutto indipendenti dal movimento della Terra in qualsiasi direzione dello spazio siderale (a somiglianza dell' arcobaleno appunto, solidale con la rotazione terrestre).
È del resto addirittura comico il fatto che, quando si misura la velocità della luce nell'unico modo corretto di farlo, ovvero con uno strumento ottico diretto (cannocchiale, telescopio, apparecchi simili) e quindi nella forma corpuscolare dei raggi luminosi (come nelle misurazioni di Fizeau), si riscontra inequivocabilmente la composizione della velocità della luce d'una stella con quella dell'osservatore terrestre, tale da costringere a calcolare l'angolo di spostamento (aberrazione) dello strumento tra la posizione reale della stella e quella visuale. Scientemente spudorato è, a questo punto, il tentativo di adottare dei "correttivi" relativistici per raddrizzare sul fenomeno vero le gambe storte della relatività.
Principio di equivalenza tra massa inerziale e massa gravitazionale (relatività generate, 1916).
Il secondo "fondamento" della relatività è il secondo cieco della catena di Brueghel, rinchiuso questa volta nel cosiddetto "ascensore di Einstein". Andiamo per questo a quattro secoli indietro: alle pietre che, come si dice, Galileo faceva cadere dalla Torre di Pisa. Orbene, che i gravi di massa differente cadano con la stessa accelerazione - e cioè che il peso sia proporzionale alla massa - è cosa che appare vera solo su brevi distanze.
Ancora una volta si mostra chiaramente, ma si vedrà appresso ogni volta qualsiasi, che, per sostenere ad oltranza un errore di base, si è costretti a invischiarsi in una catena di altri più gravi errori.
È un fatto descrittivamente ben noto che, quando un meteorite si frantuma nell'alta atmosfera, i frammenti non cadono al suolo tutti nello stesso tempo, come vorrebbe la legge ipotizzata da Galileo e fatta propria da Einstein, ma, in una precisa successione, prima i piccoli e poi via via i più grandi.
Avviene, cioè, la stessa cosa che si riscontra per le particelle in uno spettrografo di massa: le più piccole sono accelerate di più e incurvate maggiormente rispetto alle più grandi. Ma ecco che, nell'articolo citato, la spiegazione del fenomeno, incomprensibile per la fisica ufficiale, tocca i vertici del ridicolo: la differente accelerazione dei vari pezzi dipenderebbe non già da una diversità di "forza" esercitata dal campo gravitazionale, come direbbe giustamente un bravo studente di liceo, ma da una diversa "quantità di moto" posseduta dai frammenti, la quale così assume una miracolosa proprietà di "forza"!
I particolari di questa lettura di fantasia peggiorano la situazione, perche’ i frammenti più grossi, che vanno più lontano, sono stimati più veloci, mentre è vero il contrario: essi sono in realtà più lenti, e proprio per questo cadono dopo.
La caduta su Giove dei frammenti della cometa Shoemaker-Levy nel 1994 è la conferma lampante della mia analisi. Crollati i due presupposti di base della relatività, che si sono rivelati inconsistenti, una fisica teorica intellettualmente onesta dovrebbe pregare la relatività di togliere il disturbo. Ma, al contrario, i fisici contemporanei pretendono di avanzare le "prove" d'un falso evidente.
Il secondo "fondamento" della relatività è il secondo cieco della catena di Brueghel, rinchiuso questa volta nel cosiddetto "ascensore di Einstein". Andiamo per questo a quattro secoli indietro: alle pietre che, come si dice, Galileo faceva cadere dalla Torre di Pisa. Orbene, che i gravi di massa differente cadano con la stessa accelerazione - e cioè che il peso sia proporzionale alla massa - è cosa che appare vera solo su brevi distanze.
Ancora una volta si mostra chiaramente, ma si vedrà appresso ogni volta qualsiasi, che, per sostenere ad oltranza un errore di base, si è costretti a invischiarsi in una catena di altri più gravi errori.
È un fatto descrittivamente ben noto che, quando un meteorite si frantuma nell'alta atmosfera, i frammenti non cadono al suolo tutti nello stesso tempo, come vorrebbe la legge ipotizzata da Galileo e fatta propria da Einstein, ma, in una precisa successione, prima i piccoli e poi via via i più grandi.
Avviene, cioè, la stessa cosa che si riscontra per le particelle in uno spettrografo di massa: le più piccole sono accelerate di più e incurvate maggiormente rispetto alle più grandi. Ma ecco che, nell'articolo citato, la spiegazione del fenomeno, incomprensibile per la fisica ufficiale, tocca i vertici del ridicolo: la differente accelerazione dei vari pezzi dipenderebbe non già da una diversità di "forza" esercitata dal campo gravitazionale, come direbbe giustamente un bravo studente di liceo, ma da una diversa "quantità di moto" posseduta dai frammenti, la quale così assume una miracolosa proprietà di "forza"!
I particolari di questa lettura di fantasia peggiorano la situazione, perche’ i frammenti più grossi, che vanno più lontano, sono stimati più veloci, mentre è vero il contrario: essi sono in realtà più lenti, e proprio per questo cadono dopo.
La caduta su Giove dei frammenti della cometa Shoemaker-Levy nel 1994 è la conferma lampante della mia analisi. Crollati i due presupposti di base della relatività, che si sono rivelati inconsistenti, una fisica teorica intellettualmente onesta dovrebbe pregare la relatività di togliere il disturbo. Ma, al contrario, i fisici contemporanei pretendono di avanzare le "prove" d'un falso evidente.
Alcune prove:
Dilatazione del tempoSe ne adducono due "prove": una si riferisce al famigerato "paradosso dei gemelli", che sarebbe stato verificato con due orologi in volo su direzioni opposte intorno alla Terra.
A prescindere dal fatto della vanità realizzativa di una simile idea, si da il caso che i teorici della relatività non sono nemmeno d'accordo tra di loro, se all'arrivo i due orologi debbano, a norma della teoria, trovarsi ancora sincronizzati oppure no.
La polemica è molto accesa: si leggano in proposito gli articoli di Giulio Cortini - al quale procurai un'arrabbiatura - suL'Espresso-Colore del 9 aprile 1972 (L'orologiaio dell'equatore) e di Angioletta Coradini sul n. 750 di Sapere del luglio 1972 (Una nuova interpretazione del paradosso degli orologi).
Ancora una volta la prova è quella del testa o croce. L'altra "prova" della dilatazione del tempo la troviamo nello stesso articolo di Cortini prima citato: la "vita media" dei muoni.
Cominciamo col dire che i fisici teorici chiamano "vita media" delle particelle quella che è la loro "agonia media", cioè la durata della loro disintegrazione, o decadimento. Dunque, i velocissimi muoni dei raggi cosmici manifestano, morendo nell'alta atmosfera, una durata di decadimento superiore a quella di laboratorio.
Scartando l'intervento di Einstein, si osserva semplicemente che particelle più veloci (quelle dei raggi cosmici) sfuggono meglio alle interazioni gravitazionali incontrate lungo il percorso, le quali sono appunto la causa disgregante della loro consistenza corpuscolare. Solo per questo la loro "agonia" dura di più.
A prescindere dal fatto della vanità realizzativa di una simile idea, si da il caso che i teorici della relatività non sono nemmeno d'accordo tra di loro, se all'arrivo i due orologi debbano, a norma della teoria, trovarsi ancora sincronizzati oppure no.
La polemica è molto accesa: si leggano in proposito gli articoli di Giulio Cortini - al quale procurai un'arrabbiatura - suL'Espresso-Colore del 9 aprile 1972 (L'orologiaio dell'equatore) e di Angioletta Coradini sul n. 750 di Sapere del luglio 1972 (Una nuova interpretazione del paradosso degli orologi).
Ancora una volta la prova è quella del testa o croce. L'altra "prova" della dilatazione del tempo la troviamo nello stesso articolo di Cortini prima citato: la "vita media" dei muoni.
Cominciamo col dire che i fisici teorici chiamano "vita media" delle particelle quella che è la loro "agonia media", cioè la durata della loro disintegrazione, o decadimento. Dunque, i velocissimi muoni dei raggi cosmici manifestano, morendo nell'alta atmosfera, una durata di decadimento superiore a quella di laboratorio.
Scartando l'intervento di Einstein, si osserva semplicemente che particelle più veloci (quelle dei raggi cosmici) sfuggono meglio alle interazioni gravitazionali incontrate lungo il percorso, le quali sono appunto la causa disgregante della loro consistenza corpuscolare. Solo per questo la loro "agonia" dura di più.
Trasformazione della massa in energia
Diciamo preliminarmente che i fenomeni nucleari erano abbondantemente noti prima della formula einsteiniana, che rappresenta, quando nasce, solo l'equazione cervellotica di un grosso botto.
In primo luogo, la massa si trasforma in un fantasma detto "energia" esclusivamente nell'immaginazione fantascientifica di Einstein: quella massa che apparentemente si perde nei fenomeni di fissione o fusione è la parte di essa a cui i fisici non riescono a mettere il sale sulla coda al momento del botto, trattandosi di uno sciame di infinitesimali corpuscoli dotati delle immense velocità che avevano, non visti, nelle strutture nucleari e che poi determinano la loro distruttiva capacità di penetrazione (ecco il senso del fantasma "energia" !) nell'ambiente materiale circostante.
Che dire.Ancora non siamo ben riusciti a capire Le leggi che regolano l'universo.